Purtroppo, oggi come oggi,
non è più possibile sostenere che la Terra sia piatta, conica, cava o
addirittura un ologramma. La scienza, con svariate formule, prove,
osservazioni, ha ampiamente dimostrato che non è così. Poi, naturalmente, dal
momento che l’opinione è ancora libera (e ci mancherebbe) uno può dire quel che vuole, anche che il nostro pianeta sia fatto di formaggio, ma tant’è,
rimane un’opinione e basta.
Così, utilizzando questa
breve introduzione come metafora, vale lo stesso per l’Editoria A Pagamento
(EAP).
Ah, sì, lo so, ne avete piene
le scatole di questo argomento, ma dal momento che di tanto in tanto vengo
tirato in ballo in quanto aperto sostenitore della Editoria Non A Pagamento, mi
vedo costretto a ribadire qualche semplice concetto, più che altro perché a
sentir parlare alcuni esperti del settore, nonché diretti interessati, sembra
che la NoEAP non esista. O, se esiste, sia fatta male, senza cura, con scarsi
mezzi o addirittura vestita da tale, ma in realtà sia altro.
Esistono case editrici che non vi chiedono un soldo per pubblicare?
Sì, esistono. Ce ne sono di grandi, di medie e di piccole. Producono ottimi lavori, non fanno mancare il sostegno e la professionalità all’autore, si sbattono affinché il testo prodotto abbia tutti i crismi per stare sullo scaffale di una libreria.
Ovvio, la domanda sorge
automatica: ma se non chiedono soldi agli autori (è uguale quanto, che siano
300 o 3000 Euro, sono sempre troppi) come sopravvivono?
La risposta è altrettanto
scontata: vendendo libri.
Certo, voi direte che con
migliaia di testi pubblicati ogni anno e con un indice di lettori, in Italia,
sempre più basso, la cosa fa fatica a stare in piedi.
E in effetti, è proprio così:
le case editrici medio-piccole e piccole (per non parlare di quelle
piccolissime) fanno davvero tanta fatica.
Però, vedete, c’è anche una
questione di amore per questo lavoro.
Perché non si decide di
aprire una casa editrice per diventare ricchi, ma lo si fa per pura passione. Che
poi, col tempo, questa diventi una miniera d’oro, ben venga e magari, dico io,
ma inizialmente, al di là dei sogni di gloria che sono concessi a ognuno di
noi, è solo la passione a spingerti a fare un passo di questo tipo. E se sono
amore e passione, quelle che ti muovono, devi anche rispettare una semplice
regola: tu pubblichi qualcuno che scrive, e se lui scrive, tu lo paghi (con le
percentuali, ovvio).
Tornando alla metafora
iniziale…
Sostenere che un autore debba
sborsare anche un solo centesimo a una casa editrice per vedere il proprio
testo pubblicato è qualcosa che va contro la logica e il buon senso, quando ci
sono le prove che è vero l’esatto contrario.Il mondo editoriale non funziona così.
Voi direte: ma tu cosa ne sai
esattamente?
Sei o sei stato un editore? Hai idea dei costi da sostenere?
Sai quanto ci si può rimettere ad aprire una casa editrice?
Qualche idea ce l’ho,
altrimenti nemmeno mi metterei qui a discutere.
Innanzitutto, io scrivo, e anche
da parecchio tempo.
Non sono nessuno, certo, ma
ho avuto più di qualche esperienza diretta, sia con editori a pagamento che con
editori non a pagamento.Conosco in linea di massima i costi che un neo-editore deve sostenere quando apre bottega e so a cosa va incontro con il famoso “rischio d’impresa”.
Tra tasse, piccole e grandi,
e altre cosucce, all’editore partono migliaia di euro senza che ancora si sia
cominciato a stampare il primo, agognato libro dell’autore che lo ha contattato
e che, tutto sommato, non è niente male (il libro, non l’autore).
Basterebbe per scoraggiare
chiunque, dico bene?
E non finisce qui.
Il testo che l’autore gli ha
messo in mano è avvincente, ma ha dei difetti strutturali che vanno sistemati.
Non si può pensare di immettere sul mercato un’opera che non sia vicina alla
perfezione (che non esiste, per questo ci si deve avvicinare quanto più
possibile) e quindi si deve procedere con l’editing, con la correzione delle
bozze e poi, magari, perché no, prima di andare in stampa un’altra controllatina
non farebbe male. Hai visto mai…
Poi c’è la copertina.
Ah…le copertine…quanto potrei
dirvi sulle copertine io…Ma comunque, ecco, c’è anche quella.
Vi sembra possibile che possa essere una immagine qualsiasi? Con una grafica poco accattivante, scarsamente personale, di qualità mediocre? Sarebbe assurdo.
E allora devi fare anche quello.
Ora, cercate di pensare al
nostro neo-editore che deve fare tutto questo da solo. Editing, correzione
bozze, ultima occhiata, impaginazione, copertina. Chi non ci si è mai messo non
ha idea di cosa significa, di quante ore di lavoro siano, di quanta attenzione
serva, di quanta fantasia e professionalità abbia bisogno questo campo.
Però…c’è un però.
Se nessuno avesse scritto un
libro o se nessuno glielo avesse mandato, il neo-editore per cosa aprirebbe la
baracca?
Ecco, quello che certa gente continua
a non capire è che una casa editrice è un’azienda, certo, e come tutte le
aziende vive sugli utili. Se non sei capace di produrre utili, di guadagnare,
allora devi chiederti cosa stai sbagliando.
Con la miriade di testi che
vengono scritti ogni settimana e tutti quelli che vengono spediti alle case
editrici, è possibile pensare che tutti siano degni di essere pubblicati?
No. No e poi no. Bisogna farsene
una ragione. Solo una piccola percentuale dei dattiloscritti ha la possibilità
concreta di finire in stampa, tra le migliaia che arrivano. Per una questione
di qualità, non di cattiveria. Certo, poi ci può essere l’eccezione, ma è e
rimane solo questo.
La qualità è il fattore
determinante.
L’unico modo, per un editore,
di ricavarsi un piccolo regno tutto suo è la qualità dei libri che produce. Qualità
dei testi e qualità del prodotto, anche in senso estetico.
Quindi?
Quindi: ricerca, lettura di
dattiloscritti, scouting; linee editoriali originali, collane con qualcosa in
più rispetto ai concorrenti, argomenti.
Eppure, qualcosa non torna,
vero?
L’esempio dell’editore che fa
tutto da solo mette ansia solo a pensarci, dico bene? Cosa può fare, allora?
L’editore deve cercare,
individuare e assemblare una squadra di persone (non troppe) che lavorino con
lui (non per lui e basta). Difficile, ma non impossibile.
Certo, però adesso sorge un
altro quesito importante: questa gente collaborerà a titolo gratuito o verrà
pagata? Bella domanda…dal momento che il nostro editore ha già un sacco di
spese.
Partiamo dal semplice assunto
che questo macrocosmo non è roba per tutti.
Non puoi improvvisarti
editor, correttore di bozze, illustratore, grafico. Un minimo di competenza la
devi avere, anche solo per poter valutare un testo, capirne i punti deboli e i
punti di forza; oppure devi saper almeno usare qualche semplice programma per
le elaborazioni di immagini. Insomma, piccole cose, ma servono, almeno per
iniziare. Poi, per l’amor del cielo, tutto si può imparare. Ma più di tutto serve passione.
Infatti, la cosa certa è che
non ti getti dentro questo mondo se non ti piace davvero tanto e se l’editore
non è uno sprovveduto e il tuo lavoro lo svolgi con dedizione e il massimo
della professionalità di cui disponi, allora riconoscerà economicamente quel
che fai.
Magari crescerete insieme,
no?Ecco, non è sempre così, ma è come dovrebbe essere.
Bene bene. Adesso abbiamo un
editore e una squadra. E arrivano i dattiloscritti. Bisogna darsi da fare.
Programmazione, studio e
strategie sono alla base di una buona riuscita aziendale, come in ogni ambito
lavorativo. Senza di queste, soprattutto in editoria, si avranno scarsi risultati
(che già con tutte queste cose al loro posto te li devi sudare alla grande).
Però, prendiamo per buono che
tutto questo ci sia. Cosa serve alla casa editrice neonata per essere
riconosciuta credibile? Semplice. Il concetto di partenza di tutta questa
tiritera.
Non deve chiedere soldi, mai,
a chi permette di esistere alla casa editrice stessa: gli autori che metterà
sotto contratto.
Visto? Alla fine è questo che
conta e che fa la differenza.
La credibilità.
Un autore che paga per essere
pubblicato non ha possibilità di essere considerato dal panorama editoriale e
una casa editrice che si fa pagare dagli autori per pubblicarli, per quanto
metta in commercio ottimi prodotti, avrà sempre scarsa o nulla considerazione
da parte del mondo editoriale stesso, stampa compresa.
Perché entrambi mancano di
credibilità.
E adesso, con un esempio “colorato”,
chiudo la questione:
se io produco formaggio e
voglio vendere il mio prodotto ho diverse possibilità: posso venderlo
direttamente al dettaglio (che è il self publishing); posso pagare degli agenti
per piazzare il mio formaggio presso dei negozianti (che è l’agenzia
editoriale); posso andare io stesso dai negozianti a proporre il mio formaggio
(che sono le case editrici).
Se la mia azienda casearia è
appena nata e voglio proporre il mio prodotto a dei negozi, questi non lo
compreranno a scatola chiusa senza prima testarlo. Significa che, solo dopo
esser giunti alla conclusione che è un buon prodotto, lo compreranno da me e lo
proporranno ai loro clienti.
Per l’editoria questo si traduce
in: valutazione del testo con lettura e verifica della compatibilità col piano
editoriale della casa editrice e in seguito, se passa questo esame, la messa
sotto contratto dell’autore per andare in stampa e farne un prodotto appetibile
all’acquisto.
Secondo voi, io che produco
formaggio, pago il negoziante per prendere il mio prodotto e metterlo sul banco
per la vendita? Cos’è, economia al contrario?
Detto questo, cari lettori,
ricordatevi che quando qualche casa editrice vi dice che pagherete “solo i
servizi editoriali necessari” vi stanno comunque prendendo per il naso.
Quelli che si fanno pagare i
servizi editoriali sono le Agenzie Letterarie, che NON sono case editrici. Esse
lo fanno, non sempre, ma lo fanno, per poi proporre il vostro libro alle varie
case editrici per farvi pubblicare e avere anche una percentuale. Che poi ci
riescano o meno, o che voi decidiate per quella strada, è un altro discorso.
Le case editrici
tradizionali, le NoEAP, non vi devono chiedere un soldo, perché senza i libri,
non esisterebbero le case editrici.
Chiaro il concetto?
Ricordatevi il formaggio!Postilla2: se non sapete dove cercare le No EAP basta fare una ricerca in rete, ce ne sono tante e bisogna vagliare un po', ma quelle giuste si trovano. Parola d'onore.
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