mercoledì 13 febbraio 2019

La Ragione Per Cui



Siamo qui per uno scopo? Non lo sappiamo.
Abbiamo cercato di intuirlo in molti modi, ma non abbiamo trovato nulla che vada bene per tutti. Sappiamo che c’è stato un inizio, per la nostra specie, e la scienza ha cercato, e cerca tuttora, di dare una spiegazione ragionevole e logica. Attraverso lo studio, la ricerca e l’analisi delle prove che ci vengono fornite dal passato si è cercato di arrivare a delle risposte, anche se è pur vero che spesso troviamo nuove domande.
L’Inizio ha cercato, e trovato, spiegazione nelle parole dei culti religiosi. Ognuno di questi, a modo suo, traccia una via su come il Creatore avrebbe dato inizio al Tutto. Scientificamente non sono plausibili, spesso sono contradditori e illogici, ma hanno accolto consensi e non solo in epoche in cui il Sapere e la Conoscenza erano ad appannaggio di élite ristrette, ma anche nell’epoca moderna. Un dato di fatto resta incontrovertibile: noi siamo qui e se siamo qui è perché in qualche punto del passato tutto è iniziato.
Questa certezza è la sola che abbiamo. Non ci sono prove, né testimonianze concrete, dell’esistenza di una ragione che motivi la nostra esistenza. Purtroppo, noi sentiamo l’esigenza di dover trovare per forza “La ragione per cui”. Curiosamente, potrebbe esserci una risposta certa, pur non essendo quella che vorremmo ascoltare. Il motivo è semplice, quanto disarmante: siamo esseri limitati, nel corpo, quanto illimitati nella mente, ma è la coesione tra queste due parti che è sbilanciata, perché prestiamo alla parte “materiale” della nostra esistenza la maggior parte dell’attenzione.
Vedere, ascoltare, annusare, gustare, toccare sono i cardini su cui si muove la nostra percezione dal momento in cui nasciamo; a ogni passo della nostra vita ciò che ne scandisce la permanenza è il mondo fisico, con tutte le sue incredibili e variegate sfaccettature. Quel che rende possibili queste interazioni è il nostro cervello, eppure noi tendiamo a dimenticare questa splendida e incredibile macchina biologica. Lo diamo per scontato.
Il cervello è qualcosa di fisico eppure, svolte le sue funzioni di coordinamento, esso si “trastulla” con la creazione di una quantità inimmaginabile di dati: il pensiero. Ed ecco giungere il paradosso. Viviamo il mondo che ci attornia con i nostri cinque sensi e con essi ne misuriamo l’estensione, la capacità, la densità, ma quello che consideriamo “immateriale” è quello che dà più senso al “materiale”. Alla continua ricerca di risposte, tralasciamo il fatto che esse nascono da domande che la nostra mente formula di continuo. L’interminabile indagine che portiamo avanti con l’osservazione troppo spesso è ridotta a un cumulo di dati che, fine a sé stessi, ci inducono a conclusioni imprecise, incomplete.
E "la ragione per cui” continua a sfuggirci.
Lo scopo della nostra esistenza e il punto d’origine dell’immenso di cui siamo parte è un grande affresco, una sterminata tela in divenire. La prima pennellata non è meno importante di quella, ancora fresca, appena depositata. Solo il movimento armonico del pensiero e del corpo, dell’immateriale e del materiale, sono in grado di condurci sul sentiero della conoscenza e della comprensione che esiste un motivo per cui esistiamo.
Quando l’evoluzione ci avrà portato fin lì, sarà stupefacente osservare quanto meraviglioso cammino ci aspetti ancora, prima di togliere la parola fine dal nostro vocabolario.
E osservare che l’inizio non è mai cominciato. 



Rolando

venerdì 18 gennaio 2019

Stupido Burattino




Guardalo, mentre appassisce, quel pensiero.
Non ricrescerà.
Ricordalo com'era
Ricordalo quando viveva
Ricordalo nel suo fulgore
perché tra poco sarà cenere al vento.

Guarda, guarda bene.
Proprio a pochi passi da te.
Ricordati come ci riuscivi
Ricordati com'era semplice
Ricordati quanto era bello
far fiorire pensieri liberi e vividi.

Adesso.
E' adesso il problema.
Adesso che hai smesso.
Adesso,
dove le idee le lasci marcire
dove gli ideali li calpesti
dove la mente l'hai chiusa nel nulla.

Adesso.
Adesso ti fai guidare da ignoranti in doppiopetto
ti fai convincere da imbonitori da circo
ti prostri al cospetto di pagliacci imbecilli.
Per un soldo in più
Per una verità inesistente
Per favole vecchie e logore a cui non credono nemmeno i bambini.

Guarda!
Guarda quel pensiero ammuffire!
Non senti il dolore del tuo cervello
privato della sua naturale potenza?
Non ti senti in colpa osservando 
quel mucchio di cenere?

Ma è così, ormai…
Hai venduto tutto e non sai perché.
E non sai dire
e non sai più dare
e non sai più fare
e non sai più nulla
perché altri dicono e danno
e fanno e sanno per te.

Stupido burattino.
Stupido, maledetto burattino...

domenica 11 novembre 2018

Io Mi Vergogno




Da bambino assistevo in silenzio ai racconti del mio papà. Mi stupivo di quante cose avesse fatto e di quanti luoghi avesse visto. Rimanevo incantato.
Solo con gli anni della maturità ho compreso quanto avesse imparato, e la meraviglia è aumentata.
Tanti, che come lui avevano attraversato la guerra, si erano persi in pensieri di odio perpetuo; avevano abbandonato la strada che portava verso la tolleranza e l’accettazione che esiste qualcuno diverso da te. Ma lui no. Nonostante quel che aveva passato.
Il mondo che aveva visto era diviso tra luci e ombre. Simile a quello che vediamo oggi.
Simile, non uguale.

Io cammino qui. Tra le macerie di quello che poteva essere e non è stato.
Non posso tornare indietro nel tempo e cambiare gli avvenimenti che ci hanno portato fin qui. Sono troppi. Una serie di eventi che si sono collegati tra loro e a cui non si può imputare nessuna origine, se non quella della scelleratezza umana.
Ma tra queste macerie devo vivere, non ho alternativa.
Qua e là posso scorgere qualche fiore nascere, malgrado tutto, ma non sono certo che sia sufficiente a sedare la mia profonda delusione. Il mio rammarico.

Quanto tempo passato a credere che potessimo cambiare…
Il mio papà sarebbe morto di crepacuore osservando cosa abbiamo fatto. Quanto abbiamo dimenticato, come ci siamo ridotti, cosa siamo diventati.
Io, come figlio e come uomo, mi vergogno.
Mi vergogno di non essere stato all’altezza di chi ha sacrificato tanto per tentare di costruire qualcosa di buono. Perché gente illuminata ne abbiamo avuta, ma non l’abbiamo ascoltata. Abbiamo seguito i fanatismi religiosi, le strade del profitto assoluto, l’indifferenza verso la sofferenza, la politica dell’ego e del potere.
Ai margini delle nostre vite, poco considerati e a malavoglia osservati, abbiamo lasciato i colori e i profumi delle arti e delle filosofie, della cultura e del sapere.
Ci siamo appropriati di quanto serviva per compiacerci e nulla più.
E dove ci ha portati tutto questo?
A niente.
Perché davvero non abbiamo niente.
Ci scanniamo l’un l’altro senza sosta per un pugno di polvere. Parliamo ancora di Dio e di Libertà, ma se il primo è una domanda, la seconda è una chimera.

Io mi vergogno del sangue che mi scorre tra le mani.
E osservo i cumuli di cadaveri che anche io ho contribuito ad ammassare, con il mio silenzioso assenso. Morti che furono persone, vicine e lontane. Con le loro vite speciali e diverse. Non numeri. Persone.
Io mi vergogno di non aver urlato abbastanza per tentare di fermare l’oceano di odio che si diffondeva. Lo stesso odio che alimenta senza freno ogni passo che muoviamo.
L’odio per il diverso, per il non conforme.
Eppure potevamo fare qualcosa. Abbiamo avuto gli strumenti in mano. Abbiamo avuto le possibilità. Abbiamo avuto le chiavi della svolta.
Abbiamo fatto finta di niente. Troppo grande il desiderio di avere e possedere, invece di essere e divenire.

Quanto mi vergogno… e lo faccio per tutti, anche per quelli che si sono sempre nascosti dietro a un posticcio «Cosa c’entro, io?»; tutti i buonisti dell’ultima ora, tutti i teorici dell’uguaglianza, tutti i filosofi del bar sotto casa; ma anche tutti i difensori del suolo patrio, delle tradizioni nostrane, dei “nostri valori”. Mi vergogno di tutti.
A parole siamo stati dei campioni di giustizia, ma non siamo mai veramente scesi in strada per difendere quelle parole che sembrano appartenere solo a noi e non ad altri.
Perché, sotto sotto, non ci è mai fregato niente che migliaia di persone innocenti venissero sterminate in parti del mondo troppo lontane per ricordarne la posizione su una cartina geografica.
Perché l’orrore ti gela il sangue solo quando bussa alla tua porta.
Abbiamo ignorato per decenni segnali allarmanti.

Povero papà…
Tu che dicesti «Sono andato alla ricerca dell’Uomo», ricordando i tuoi lunghi viaggi, chissà cosa diresti ora. Gli uomini dei tuoi tempi non erano tanto diversi da noi, presumo, ma ho davanti agli occhi la tua espressione e mi sembra di scorgervi una speranza che, purtroppo, è stata polverizzata.
Eri un illuminato? Un idealista? Un sognatore?
Tu che avevi vissuto in Africa, insieme a una tribù del Tanganica; che avevi attraversato l’Asia fermandoti in Tibet, in Pakistan, nella penisola indocinese; che eri stato nel deserto dividendo cibo e acqua con i Tuareg e avevi ascoltato i passi del Corano nelle vicinanze del Cairo.
Di quel mondo che i tuoi occhi avevano visto e che le tue parole avevano portato a casa, cosa è rimasto?

Io mi vergogno.
Mi vergogno di non essere all’altezza della parola Uomo. Mi vergogno di essere parte di questo grande teatro di barbarie e inciviltà.
Mi vergogno della lacrima che ho versato per i morti delle stragi in Europa, mentre molte erano richieste per le altre vittime e io non le ascoltavo.
Mi vergogno di essere io stesso un mostro, perché il richiamo della vendetta sommaria è dolce e sibillino e io lo ascolto.
Mi vergogno dei pensieri atroci che ho avuto e che fanno il gioco voluto dai Grandi Artefici che si nascondono dietro le quinte.
Quelli che non si mostrano mai come sono realmente.

Eppure…
Eppure, niente.
Vorrei dire che ci voglio ancora credere, ma non so se ne avrò la forza.
Vorrei tornare bambino e perdermi tra le tue braccia. Per sentire la sicurezza dei tuoi ideali, la gentilezza del tuo respiro, l’amore incondizionato che nutrivi per il prossimo, chiunque fosse e qualsiasi colore avesse o fede professasse.
Invece sono solo un uomo che cammina tra queste macerie. Senza fare niente.
E mi vergogno, per questo.



Rolando

venerdì 19 ottobre 2018

C'è Stato Un Tempo...



C'è stato un tempo dove ho passeggiato da solo, 
attraverso campi freschi di mietitura, 
in mezzo a sogni baciati dal sole,
mangiando frutti succosi e fragranti,
...ma avevo con me solo aggettivi…

C'è stato un tempo dove ho navigato da solo, 
tra mari di calma azzurra,
dondolato dal suono soave dei miei desideri,
beandomi dei giochi di pesci vivaci,
...ma avevo con me solo utopie…

C'è stato un tempo dove ho corso da solo,
su strade di porfido ben cesellato,
accompagnato dal vento mutevole delle stagioni,
inebriato da giochi e fratellanze,
...ma avevo con me solo furore…

Poi, un giorno, mi sono fermato,
su una terra lontana che odorava di antico,
accarezzato da un sogno che risplendeva d’eterno,
osservato da occhi che cantavano piano,
...e ho scoperto di non aver mai vissuto...


giovedì 20 settembre 2018

Come Un Riverbero Vibrante


Ho guardato negli occhi dell'universo e mi sono sentito mancare.
Sai...è così facile pensare di arrivare altrove, 
mentre invece non ti stai affatto muovendo.
Sei lì, solamente lì, in quel piccolo sasso che hai sotto i piedi
e ancora ti sbracci e ti dimeni, ma tutto sommato...sai…
Hai guardato negli occhi dell'universo
e lui ha sorriso per la tua infantile presunzione.

Ho osservato le stelle e mi sono immaginato viaggiatore
di un immenso via vai di luci e calore e tenebre,
e invece...e invece...piccola, sai…
Non mi sono mai mosso da qui.
Sono sempre stato qui, abbarbicato al bar sotto casa
tra un bicchiere vuoto e un quaderno troppo pieno
sognando di essere vivo
mentre morivo ogni giorno dalla mia nascita.

Ho guardato dritto nel cuore dell'infinito
per scoprire che l'infinito è così vasto da smettere di essere.
E io volevo farne parte, sai...volevo che fosse anche mio,
non volevo essere solo suo…
Poi mi sono incamminato accanto alla scogliera
in una notte senza luna, mentre le luci delle stelle cantavano
e ho scoperto che sarei vissuto per sempre
come un riverbero vibrante in questo universo incostante,
mutevole di atomi e polvere e immensità silenziosa.

mercoledì 19 settembre 2018

Adesso Devi Solo Andare




Fai presto a dire che non si può fare, 
ma se poi ti mettono all'angolo, col cazzo che dici di no 
e una sberla sul banco la pianti.
Passa una birra e ne passano due, poi arriva la terza
e capisci che è il caso di farti la quarta
perché la strada non aspetta, anche se non ha nessuna intenzione
di sussurrarti la meta.

C'è stato un tempo pieno di rimpianti e di ritorni a casa senza ricordi
ma poi sei cresciuto e le chiavi le hai lasciate sull'asfalto,
lo stesso che ti ha detto bene tante volte e tante volte ti ha preso a calci nel culo.

Fai presto a dire che non sarà e non ci sarà, però quello che importa è che sia tu a guidare. 
Perché la via è lì, non ne esiste altra, e puoi bere fino a sfinirti
e fumare fino a svenire, ma non è vero che non si può fare e questa notte andrai fin là. 
Oltre il muro del sonno.
Oltre le lacrime e oltre la rabbia,
oltre gli amici, i fasulli, i finti, quelli veri e quelli strani,
andrai oltre l'amore e oltre il rancore.

Ce l'hai avuto un tempo per piangere e pure quello per costruire.
Adesso devi solo andare.

La Memoria Degli Alberi






Sto guardando gli alberi nel giardino, simili a tanti altri e diversi da tutti. Loro restituiscono lo sguardo e non parlano, non lo fanno mai. Non lo faranno mai.
Perché gli alberi osservano in silenzio, ma non dimenticano. E piangono. 

Le spranghe che si ammassano per una partita e le bombe che esplodono per una bandiera e i coltelli che squarciano per una banconota e le urla di donne violate e gli strilli di bambini straziati…

Gli alberi ricorderanno tutto questo, come non hanno mai dimenticato lo scempio che la mia razza ha perpetrato su questo mondo.
Gli alberi ricorderanno. Ricorderanno tutto.

Osservo il mondo fuori dalla mia finestra e quello dentro alla mia anima e non posso, proprio non posso...no...non posso credere che faccio parte di tutto questo. Ma è così. 

Questo carnaio, questo macello, questo mare di odio informe, strisciante, che scanna tutto quello che trova, che vede, che muove, che vive...è anche mio.
E' anche colpa mia.

E gli alberi lo sanno. Lo sento. E vorrei che mi giudicassero, che mi accusassero, ma non lo fanno. Loro non lo fanno mai, perché sono diversi da noi, sono altro da noi. 

E il loro silenzio è un tuono sordo che rimbomba dentro ai nostri spiriti, quegli stessi che dipingono, e scolpiscono, e cantano e poi trucidano, e smembrano, e vomitano fuoco e bestemmie...e poi amano, sì, amano...ma a quale terrificante prezzo…

Guardo fuori, verso il tramonto, dove le cime degli alberi si arrossano e noto con dolore che non c'è nulla che rimarrà di noi. Tranne il lamento di un mondo devastato. 
Un pianeta colpito a morte, senza pietà, da un'unica razza. 
La mia.

...Ma gli alberi saranno qui, dopo tutto questo. 
Saranno qui dopo di noi.
E ricorderanno. 
E un giorno racconteranno, forse sì, cosa è stata la Terra dell'Uomo.

Gli alberi, loro, non dimenticano. Forse un giorno ci perdoneranno. Ma non oggi.
Non oggi...